La prima volta che mi hanno definito resiliente, non sono stata tanto felice, anzi.
Pareva una beffa.
Sarà per l'attinenza fonica a deficiente, sarà che mi sarei volentieri evitata tutte le difficoltà e le prove superate per guadagnare questo amaro gagliardetto di deficiente resiliente.
Il termine già in partenza fastidioso, aumenta il fastidio ad ogni utilizzo.
Se vuoi riconciliati col concetto di resilienza, ti consiglio un libro bellissimo, "Resisto dunque sono" di Pietro Trabucchi (anche su Audible).
Almeno a me con lui, Pietro Trabucchi, è successo proprio questo, ho superato l'ostilità verso la parola, ed ho intrapreso il mio percorso per raccontare la resilienza ed i modi per attingere ad essa come ad un pozzo che da e non come un pozzo che prende.
La resilienza non va vissuta come manipolatoria o come un obbligo di fare presto, rialzarsi e non sentire o non soffrire.
La resilienza è una possibilità, una luce in fondo al tunnel che puoi raggiungere, magari a piccoli passi, o ad intermittenza, ed uno degli interruttori è ...
tatata: la creatività.
Usando la creatività ho raccontato ad un convegno che 𝗹𝗮 𝗿𝗲𝘀𝗶𝗹𝗶𝗲𝗻𝘇𝗮 𝗽𝗲𝗿𝘀𝗼𝗻𝗮𝗹𝗲 𝗗𝗜𝗣𝗘𝗡𝗗𝗘 𝗶𝗻 𝗴𝗿𝗮𝗻 𝗽𝗮𝗿𝘁𝗲 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗻𝗼𝘀𝘁𝗿𝗮 𝘀𝘁𝗿𝘂𝘁𝘁𝘂𝗿𝗮 𝗰𝗼𝗴𝗻𝗶𝘁𝗶𝘃𝗮, 𝗰𝗶𝗼𝗲̀ 𝗗𝗔 𝗖𝗢𝗠𝗘 𝗜𝗡𝗧𝗘𝗥𝗣𝗥𝗘𝗧𝗜𝗔𝗠𝗢 𝗡𝗢𝗜 𝗦𝗧𝗘𝗦𝗦𝗜 𝗲 𝗚𝗟𝗜 𝗘𝗩𝗘𝗡𝗧𝗜.
A sua volta la nostra valutazione della realtà si fonda su un sistema di credenze (spesso distorte) che tende ad autoperpetuarsi e autoconfermarsi.
E da quanto ci pensiamo «forti»: cioè in grado di fare fronte a quel determinato problema.
Cosa ti dici?
Ma non perché te lo "imponga" un altro, fuori da te, che pretende una performance.
All'epoca di questo disegnino mi dicevo:
non so disegnare (e molti, circa 300 hanno disegnato con me in diretta ad un altro convegno, con un intervento dal titolo "non so disegnare") ed invece oggi lo trovo delizioso.
Quante volte non ci siamo piaciuti per accorgerci, anni più tardi che magari avessimo ora quello che avevamo allora?
Quante volte hai pensato dopo la fine di un amore non ti saresti più innamorata (cit).
Quante volte hai pensato che non ce l'avresti fatta, ed anche se è andata così, l'hai gestita.
Non dico di non ascoltare o di ignorare la sofferenza di adesso, ma di non aggiungerne.
L'invito è:
guarda bene, smetti di criticare cose che non si possono cambiare ed impegnati a creare (o migliorare) quelle che puoi.
Ripensa ai tuoi successi: cosa ti ha aiutato allora?
Ripensa ai tuoi fallimenti: quale peso in più ti sei inflitto e ti saresti potuto risparmiare?