Incontrare e conoscere la resilienza è molto utile ed illuminante, sia in chiave sportiva che manageriale.
Per resilienza si intende la capacità di persistere nel perseguire obiettivi difficili, fronteggiando in maniera efficace le difficoltà che ci si presentano.
E’ dunque una competenza chiave per il manager.
Conoscerla, ed applicarla può migliorare la nostra vita personale e professionale.
Il libro che mi ha coinvolto nella esplorazione è “Resisto dunque sono” di Pietro Trabucchi, dal cui testo è tratto ed adattato il mio articolo.
Cominciamo dal modello di Karasek, che mette in relazione due variabili responsabili dello stress nelle organizzazioni:
AREA 1
Se percepisco una situazione di alto controllo e bassa richiesta, mi annoio e demotivo.
Sento di possedere competenze superiori a quelle necessarie a coprire il mio incarico; sperimento frustrazione, perché le mie competenze non sono valorizzate .
A lungo andare la frustrazione può mutare in cinismo.
AREA 2
alta richiesta – dell’organizzazione e alto controllo- del manager.
Mi sento in grado di far fronte a tutte le richieste, anche se tante,con skills e risorse adeguati; sento di avere (quasi) tutto sotto controllo.
Lo stress in questo quadrante si può definire Eu-stress, cioè di impegno e sfida percepiti in modo gratificante, come motivanti.
AREA 3 alta richiesta– dell’organizzazione e basso controllo- del manager: sono in zona Di-stress, cioè dello stress dannoso, negativo.
Sperimento ansia e senso di inadeguatezza (o di impotenza). Situazioni simili, se mantenute a lungo nel tempo, sono dannose sia sul piano comportamentale che sulla salute (mente e corpo).
AREA 4 bassa richiesta – dell’organizzazione e basso controllo - del manager: è l’area della passività ; il manager ha poche possibilità di utilizzare le proprie abilità , e dunque di crescere e apprendere.
Ogni area porta in sostanza stress, che dobbiamo apprendere a gestire nello stesso momento stesso in cui accade.
Molto lavoro coinvolge il filtro cognitivo, ovvero cosa ci diciamo di noi stessi e del mondo, quale interpretazione ci diamo.
Per esempio, se credo di essere incapace, ormai finito, un fallimento, nessuno riesce a vedere i miei sforzi, non mi sento riconosciuto etc, sto aggiungendo un carico- mio e dunque evitabile, a quello già proveniente dall'esterno.
Sto determinando una "self fulfilling prophecy", una profezia autoavverante.
Comincio a non dormire, a pensare al lavoro anche fuori dall'ufficio, ad essere sempre pronto a scattare, ad arrabbiarmi, ad esplodere.
Sono reazioni ataviche, utili venti o trentamila anni fa, ma ora non più efficaci.
Quando fuori dalla capanna giravano leoni affamati o nemici inferociti, l’insonnia poteva essere una reazione adeguata alla realtà ; se invece la minaccia è un vago senso di ansia rispetto al proprio futuro professionale, non dormire la notte è una forma di difesa totalmente disfunzionale.
Non aiuta, anzi, contribuisce a mettere a rischio il proprio futuro lavorativo.
Così pure la rabbia, che ha la funzione di preparare anche fisicamente alla lotta con il nemico, oggi ci fa male inutilmente.
Esprimere la rabbia per annientare capi e colleghi aumenterebbe i problemi relazionali in modo significativo ed in più con effetti negativi sulla nostra salute.
Cosa fare?
La risposta sta nell'apprendere, trovare e mettere in pratica, soluzioni più funzionali.
Per esempio:
1. Essere informato su cosa è veramente lo stress, quali gli effetti sul corpo e sulla mente e come la resilienza possa rappresentare un utilissimo fattore di gestione delle difficoltà e di miglioramento della qualità della vita.
Sarà capitato anche a te di lavorare con enorme fatica ed efficienza durante la settimana, e quando finalmente arriva il weekend, di restare distrutto sul divano, con risorse sufficienti solo a schiacciare i testi del telecomando.
Prende il nome di «sindrome del week-end»; durante la settimana lavorativa è il cortisolo endogeno sprigionato dai surreni che ci sostiene, ma il nostro “sistema interno” lo mette in pausa dal proprio nel weekend, perché risparmiato e tenuto in serbo per «tempi peggiori».
Improvvisamente cessa l’effetto endogeno antidolorifico e antifatica ed ecco che arriva la stanchezza tutto insieme addosso.
2. Riconoscere i propri “segnali deboli” dello stress, che avvertono che si sta superando il limite dove l’Eu-stress diventa Di-stress.
Ognuno di noi ha sintomi di tipo fisico, cognitivo o comportamentale avvertono che si sta esagerando.
Se sei tra quelli “alta richiesta-alto controllo”, è possibile che ti senti gasato da impegni e responsabilità , sentendoti forte e potente nel saper gestire tutto.
L’organismo però comunque “subisce” tanta pressione e la somma di piccoli e grandi stress possono, a lungo andare, portarti a non sentirti più tanto invincibile, ma anzi, sviluppare esaurimento, una malattia (la mia personale abilità è sempre stata di ammalarmi nel weekend o in vacanza!) o diventino una risposta cronica e fuori controllo.
In questi casi è importante fare delle pause, imparare tecniche di rilassamento, a modificare la valutazione cognitiva (ovvero cosa ci diciamo di noi stessi e del mondo a fronte degli eventi) ed aumentare il senso di controllo personale.
Se partecipi ai miei laboratori, sono occasione di pausa, rilassamento ed acquisizione/esercitazione di competenze.
Quello che mi ha colpita è cosa accade per chi si trova nel quadrante sotto, quello «alta richiesta-basso controllo percepito».
Qui la pausa non serve:
infatti il problema non è recuperare, ma sentire la situazione fuori controllo.
Anche se ci permettiamo una vacanza, restiamo in attesa angosciosa di dover ritornare al lavoro.
In questo caso occorrono strumenti per aumentare il senso di controllo, come ad esempio formazione per competenze lavorative specifiche o farsi affiancare da coach e counselor per sviluppare competenze generali volte ad aumentare la resilienza personale: strumenti per potenziare la valutazione cognitiva e per sviluppare il senso di controllo personale.
Per resilienza si intende la capacità di persistere nel perseguire obiettivi difficili, fronteggiando in maniera efficace le difficoltà che ci si presentano.
E’ dunque una competenza chiave per il manager.
Conoscerla, ed applicarla può migliorare la nostra vita personale e professionale.
Il libro che mi ha coinvolto nella esplorazione è “Resisto dunque sono” di Pietro Trabucchi, dal cui testo è tratto ed adattato il mio articolo.
Cominciamo dal modello di Karasek, che mette in relazione due variabili responsabili dello stress nelle organizzazioni:
- la percezione di controllo del soggetto
- il livello di impegno richiesto
AREA 1
Se percepisco una situazione di alto controllo e bassa richiesta, mi annoio e demotivo.
Sento di possedere competenze superiori a quelle necessarie a coprire il mio incarico; sperimento frustrazione, perché le mie competenze non sono valorizzate .
A lungo andare la frustrazione può mutare in cinismo.
AREA 2
alta richiesta – dell’organizzazione e alto controllo- del manager.
Mi sento in grado di far fronte a tutte le richieste, anche se tante,con skills e risorse adeguati; sento di avere (quasi) tutto sotto controllo.
Lo stress in questo quadrante si può definire Eu-stress, cioè di impegno e sfida percepiti in modo gratificante, come motivanti.
AREA 3 alta richiesta– dell’organizzazione e basso controllo- del manager: sono in zona Di-stress, cioè dello stress dannoso, negativo.
Sperimento ansia e senso di inadeguatezza (o di impotenza). Situazioni simili, se mantenute a lungo nel tempo, sono dannose sia sul piano comportamentale che sulla salute (mente e corpo).
AREA 4 bassa richiesta – dell’organizzazione e basso controllo - del manager: è l’area della passività ; il manager ha poche possibilità di utilizzare le proprie abilità , e dunque di crescere e apprendere.
Ogni area porta in sostanza stress, che dobbiamo apprendere a gestire nello stesso momento stesso in cui accade.
Molto lavoro coinvolge il filtro cognitivo, ovvero cosa ci diciamo di noi stessi e del mondo, quale interpretazione ci diamo.
Per esempio, se credo di essere incapace, ormai finito, un fallimento, nessuno riesce a vedere i miei sforzi, non mi sento riconosciuto etc, sto aggiungendo un carico- mio e dunque evitabile, a quello già proveniente dall'esterno.
Sto determinando una "self fulfilling prophecy", una profezia autoavverante.
Comincio a non dormire, a pensare al lavoro anche fuori dall'ufficio, ad essere sempre pronto a scattare, ad arrabbiarmi, ad esplodere.
Sono reazioni ataviche, utili venti o trentamila anni fa, ma ora non più efficaci.
Quando fuori dalla capanna giravano leoni affamati o nemici inferociti, l’insonnia poteva essere una reazione adeguata alla realtà ; se invece la minaccia è un vago senso di ansia rispetto al proprio futuro professionale, non dormire la notte è una forma di difesa totalmente disfunzionale.
Non aiuta, anzi, contribuisce a mettere a rischio il proprio futuro lavorativo.
Così pure la rabbia, che ha la funzione di preparare anche fisicamente alla lotta con il nemico, oggi ci fa male inutilmente.
Esprimere la rabbia per annientare capi e colleghi aumenterebbe i problemi relazionali in modo significativo ed in più con effetti negativi sulla nostra salute.
Cosa fare?
La risposta sta nell'apprendere, trovare e mettere in pratica, soluzioni più funzionali.
Per esempio:
1. Essere informato su cosa è veramente lo stress, quali gli effetti sul corpo e sulla mente e come la resilienza possa rappresentare un utilissimo fattore di gestione delle difficoltà e di miglioramento della qualità della vita.
Sarà capitato anche a te di lavorare con enorme fatica ed efficienza durante la settimana, e quando finalmente arriva il weekend, di restare distrutto sul divano, con risorse sufficienti solo a schiacciare i testi del telecomando.
Prende il nome di «sindrome del week-end»; durante la settimana lavorativa è il cortisolo endogeno sprigionato dai surreni che ci sostiene, ma il nostro “sistema interno” lo mette in pausa dal proprio nel weekend, perché risparmiato e tenuto in serbo per «tempi peggiori».
Improvvisamente cessa l’effetto endogeno antidolorifico e antifatica ed ecco che arriva la stanchezza tutto insieme addosso.
2. Riconoscere i propri “segnali deboli” dello stress, che avvertono che si sta superando il limite dove l’Eu-stress diventa Di-stress.
Ognuno di noi ha sintomi di tipo fisico, cognitivo o comportamentale avvertono che si sta esagerando.
Se sei tra quelli “alta richiesta-alto controllo”, è possibile che ti senti gasato da impegni e responsabilità , sentendoti forte e potente nel saper gestire tutto.
L’organismo però comunque “subisce” tanta pressione e la somma di piccoli e grandi stress possono, a lungo andare, portarti a non sentirti più tanto invincibile, ma anzi, sviluppare esaurimento, una malattia (la mia personale abilità è sempre stata di ammalarmi nel weekend o in vacanza!) o diventino una risposta cronica e fuori controllo.
In questi casi è importante fare delle pause, imparare tecniche di rilassamento, a modificare la valutazione cognitiva (ovvero cosa ci diciamo di noi stessi e del mondo a fronte degli eventi) ed aumentare il senso di controllo personale.
Se partecipi ai miei laboratori, sono occasione di pausa, rilassamento ed acquisizione/esercitazione di competenze.
Quello che mi ha colpita è cosa accade per chi si trova nel quadrante sotto, quello «alta richiesta-basso controllo percepito».
Qui la pausa non serve:
infatti il problema non è recuperare, ma sentire la situazione fuori controllo.
Anche se ci permettiamo una vacanza, restiamo in attesa angosciosa di dover ritornare al lavoro.
In questo caso occorrono strumenti per aumentare il senso di controllo, come ad esempio formazione per competenze lavorative specifiche o farsi affiancare da coach e counselor per sviluppare competenze generali volte ad aumentare la resilienza personale: strumenti per potenziare la valutazione cognitiva e per sviluppare il senso di controllo personale.