La scuola, poi il liceo poi l'università : insieme alle materie che ci "informano" dovremmo imparare una serie di altre competenze, quelle così dette relazionali, come ad esempio stare insieme agli altri, ascoltare, lavorare insieme, saper stare nel proprio ruolo, saper proporre e saper anche delegare, saper guidare e saper farsi guidare.
Stare al proprio posto senza invadere e senza far male agli altri o al gruppo di cui si fa parte.
E' un utopia, lo sappiamo, la scuola non può e non riesce a fare tutto questo.
Anzi pare che non riesca neanche a fare quello che dovrebbe, se in questi giorni i docenti universitari lamentano che gli studenti non sanno esprimersi in italiano corretto.
Pare che ad ogni livello, ogni istituzione si aspetti un livello di "competenza" già acquisita da qualche altra parte, lasciando di fatto zone non coperte da nessuno.
Gli insegnanti hanno il loro carico di materie da insegnare, e l'educazione, il rispetto per gli altri, sono bagagli che dovrebbero arrivare in classe da completare e non da riempire iniziando dalle basi.
I genitori delegano la scuola il dare regole ed educazione quando è più comodo che farlo loro stessi, cioè fino a quando insegnanti si permettono di dire NO ai loro bambini (da cinque a venticinque anni) ed allora partono minacce ed offese di ogni ordine e grado.
Dei NO necessari, dei confini per tutelare, dei confini per apprendere, le materie e lo stare con gli altri.
Quei bambini crescono e davanti ai no da grandi si spezzano, perché non li hanno mai conosciuti.
Si spezzano o spezzano gli altri, perché il no non lo tollerano.
Il risultato è che cresciamo ma restiamo impreparati in alcune aree.
Perché non ce lo hanno insegnato, né abbiamo potuto impararlo per imitazione.
Fino a quando, un giorno eccoci passare dai banchi al lavoro, con quelle lacune mai colmate.
Abbiamo studiato, abbiamo strumenti più tecnici nel svolgerlo, ma ci sono una serie di variabili sconosciute, mai utilizzate e mal gestite. Quelle relazionali appunto.
Quello di saper seguire le regole, e comprendere anche quelle non scritte, saperle cambiare dal di dentro, quando serve al gruppo il cambiamento e non quando vogliamo manipolare il gruppo perché serve a noi.
Costruire motivazione e lavoro di squadra, saper remare tutti nella stessa direzione, e essere uniti se l'acqua inizia ad entrare in barca.
Questo pesa sulle nostre giornate, perché si fa fatica nel carico, nell'apprendimento continuo, ma soprattutto si fa fatica a gestire quelle tante necessità che ad un certo punto non si può ignorare ed esplodono tutte insieme.
Così ci sarà l'insegnante o il manager che non sa farsi rispettare e reagisce con la forza.
Quello che non sa assolutamente cosa siano i confini e tratta con eccessiva confidenza il direttore delle risorse umane ad un colloquio, chi fa battute infelici quando è il momento di essere seri.
Quello che invece spera che col silenzio tutto si aggiusti e non vuole mettersi contro nessuno.
Invece senza parlare e senza prendere posizioni, il clima si guasta, il gruppo si sente allo sbando e la situazione peggiora, e le difficoltà non riusciamo a nasconderle dietro un evitamento.
Sempre più aziende si rendono conto di avere persone capaci nel loro lavoro, ma incapaci a qualche altro livello, dove c'è fretta di "riparare" affinché la situazione non precipiti e ci si debba preoccupare delle persone e non delle performance.
Dove recuperare il tempo perso?
Dove apprendere competenze che diventano essenziali?
La risposta è: crescita personale, percorsi di consapevolezza, dove per consapevole si intende che comincio a capire quale parte svolgo IO nei gruppi, e nelle relazioni in genere, come pesto i piedi senza accorgermene, come entro a gamba tesa, come non sostengo gli altri quando penso invece di farlo e così via.
Vuol dire passare da una visione in cui "gli altri" sono quelli che sbagliano e devono cambiare a quella in cui mi posso occupare di colui o colei di cui sono responsabile, cioè me stesso/a.
Capire che non posso pretendere il cambiamento negli altri, ma posso comprendere ed osservare il mio di comportamento, le interazioni e le retroazioni, e poterci davvero farci qualcosa.
Corsi o laboratori esperienziali o percorsi individuali, abbiamo bisogno di attrezzi interiori che funzionino, ed in fretta.
Qualche tempo fa tra gli allievi di una formazione mi ha colpito in particolare un ragazzo, giovane e molto carino, di quelli che pensi che abbiano una sicurezza che gli viene dall'essere da sempre oggetto di attenzioni.
E invece.
Nella chiusura ha condiviso la contentezza di aver partecipato, a fronte di un iniziale preoccupazione quando l'azienda lo aveva informato che avrebbe frequentato un corso di "competenze relazionali".
Ed ora? Gli ho chiesto.
Ed ora ho scoperto che è più facile di quanto immaginassi- ha risposto lui.
Sono belle soddisfazioni; mi rendo conto quanto con la giusta conduzione, e un esperienziale coinvolgente, le persone non "ascoltano" come si comunica, ma "apprendono dentro" a farlo in prima persona, divertendosi per giunta.
Siamo spesso preoccupati dai cambiamenti e dal "dover " ancora apprendere qualcosa.
Potremmo vedere invece la grande opportunità di farlo, che ci porta a vivere più serenamente e con minor peso le giornate lavorative ed in più, può rivelarsi anche una fonte di divertimento ed entusiasmo.
Attraverso il gioco ci mettiamo in gioco, si costruiscono insieme nuove basi per un vivere ed un lavorare che può essere pieno di soddisfazioni, personali e di gruppo.
Brevi video di laboratori esperienziali di team building aziendali dove l'obiettivo è stato scoprire cosa si può costruire insieme partendo dalle qualità di ciascun componente.
Stare al proprio posto senza invadere e senza far male agli altri o al gruppo di cui si fa parte.
E' un utopia, lo sappiamo, la scuola non può e non riesce a fare tutto questo.
Anzi pare che non riesca neanche a fare quello che dovrebbe, se in questi giorni i docenti universitari lamentano che gli studenti non sanno esprimersi in italiano corretto.
Pare che ad ogni livello, ogni istituzione si aspetti un livello di "competenza" già acquisita da qualche altra parte, lasciando di fatto zone non coperte da nessuno.
Gli insegnanti hanno il loro carico di materie da insegnare, e l'educazione, il rispetto per gli altri, sono bagagli che dovrebbero arrivare in classe da completare e non da riempire iniziando dalle basi.
I genitori delegano la scuola il dare regole ed educazione quando è più comodo che farlo loro stessi, cioè fino a quando insegnanti si permettono di dire NO ai loro bambini (da cinque a venticinque anni) ed allora partono minacce ed offese di ogni ordine e grado.
Dei NO necessari, dei confini per tutelare, dei confini per apprendere, le materie e lo stare con gli altri.
Quei bambini crescono e davanti ai no da grandi si spezzano, perché non li hanno mai conosciuti.
Si spezzano o spezzano gli altri, perché il no non lo tollerano.
Il risultato è che cresciamo ma restiamo impreparati in alcune aree.
Perché non ce lo hanno insegnato, né abbiamo potuto impararlo per imitazione.
Fino a quando, un giorno eccoci passare dai banchi al lavoro, con quelle lacune mai colmate.
Abbiamo studiato, abbiamo strumenti più tecnici nel svolgerlo, ma ci sono una serie di variabili sconosciute, mai utilizzate e mal gestite. Quelle relazionali appunto.
Quello di saper seguire le regole, e comprendere anche quelle non scritte, saperle cambiare dal di dentro, quando serve al gruppo il cambiamento e non quando vogliamo manipolare il gruppo perché serve a noi.
Costruire motivazione e lavoro di squadra, saper remare tutti nella stessa direzione, e essere uniti se l'acqua inizia ad entrare in barca.
Questo pesa sulle nostre giornate, perché si fa fatica nel carico, nell'apprendimento continuo, ma soprattutto si fa fatica a gestire quelle tante necessità che ad un certo punto non si può ignorare ed esplodono tutte insieme.
Così ci sarà l'insegnante o il manager che non sa farsi rispettare e reagisce con la forza.
Quello che non sa assolutamente cosa siano i confini e tratta con eccessiva confidenza il direttore delle risorse umane ad un colloquio, chi fa battute infelici quando è il momento di essere seri.
Quello che invece spera che col silenzio tutto si aggiusti e non vuole mettersi contro nessuno.
Invece senza parlare e senza prendere posizioni, il clima si guasta, il gruppo si sente allo sbando e la situazione peggiora, e le difficoltà non riusciamo a nasconderle dietro un evitamento.
Sempre più aziende si rendono conto di avere persone capaci nel loro lavoro, ma incapaci a qualche altro livello, dove c'è fretta di "riparare" affinché la situazione non precipiti e ci si debba preoccupare delle persone e non delle performance.
Dove recuperare il tempo perso?
Dove apprendere competenze che diventano essenziali?
La risposta è: crescita personale, percorsi di consapevolezza, dove per consapevole si intende che comincio a capire quale parte svolgo IO nei gruppi, e nelle relazioni in genere, come pesto i piedi senza accorgermene, come entro a gamba tesa, come non sostengo gli altri quando penso invece di farlo e così via.
Vuol dire passare da una visione in cui "gli altri" sono quelli che sbagliano e devono cambiare a quella in cui mi posso occupare di colui o colei di cui sono responsabile, cioè me stesso/a.
Capire che non posso pretendere il cambiamento negli altri, ma posso comprendere ed osservare il mio di comportamento, le interazioni e le retroazioni, e poterci davvero farci qualcosa.
Corsi o laboratori esperienziali o percorsi individuali, abbiamo bisogno di attrezzi interiori che funzionino, ed in fretta.
Qualche tempo fa tra gli allievi di una formazione mi ha colpito in particolare un ragazzo, giovane e molto carino, di quelli che pensi che abbiano una sicurezza che gli viene dall'essere da sempre oggetto di attenzioni.
E invece.
Nella chiusura ha condiviso la contentezza di aver partecipato, a fronte di un iniziale preoccupazione quando l'azienda lo aveva informato che avrebbe frequentato un corso di "competenze relazionali".
Ed ora? Gli ho chiesto.
Ed ora ho scoperto che è più facile di quanto immaginassi- ha risposto lui.
Sono belle soddisfazioni; mi rendo conto quanto con la giusta conduzione, e un esperienziale coinvolgente, le persone non "ascoltano" come si comunica, ma "apprendono dentro" a farlo in prima persona, divertendosi per giunta.
Siamo spesso preoccupati dai cambiamenti e dal "dover " ancora apprendere qualcosa.
Potremmo vedere invece la grande opportunità di farlo, che ci porta a vivere più serenamente e con minor peso le giornate lavorative ed in più, può rivelarsi anche una fonte di divertimento ed entusiasmo.
Attraverso il gioco ci mettiamo in gioco, si costruiscono insieme nuove basi per un vivere ed un lavorare che può essere pieno di soddisfazioni, personali e di gruppo.
Brevi video di laboratori esperienziali di team building aziendali dove l'obiettivo è stato scoprire cosa si può costruire insieme partendo dalle qualità di ciascun componente.