Descrivere il mio lavoro ha sempre richiesto molte parole, forse perché è un percorso ricco di sfumature, intrecci e trasformazioni.
Tutto è iniziato con il marketing, un mondo spesso confuso, frainteso, millantato e, di conseguenza, screditato da chi si appropria di un titolo su un biglietto da visita pur occupandosi d’altro.
Poi è arrivato il counseling, che condivide gli stessi aggettivi: confuso, frainteso, millantato e screditato. Eppure, per me, questi due mondi sono strettamente connessi, l’uno è la continuazione, seppur audace, dell’altro.
Il marketing l’ho scelto all’università , attirata dall’idea di un lavoro dinamico, ogni giorno diverso, come un caleidoscopio in continua evoluzione.
Decisa a sperimentare sul campo, mi sono presentata in aziende grandi e piccole per la mia tesi. Con mia sorpresa, mi si sono aperte porte importanti e, poco dopo la laurea, mi sono ritrovata a lavorare in un contesto multinazionale.
Ho scoperto che ciò che avevo studiato sui libri era solo una base: il vero marketing si imparava sul campo, tra variabili impreviste, terminologie nuove e dinamiche complesse. Mi è sempre piaciuto condividere ciò che apprendevo, soprattutto quando la formazione accademica si rivelava insufficiente e il marketing assumeva nuovi connotati al cambiare del contesto.
Cosa cercano le aziende da un professionista del marketing?
La conoscenza approfondita del prodotto: vendite giornaliere, margini contributivi, budget pubblicitari, agenti di vendita, posizionamento desiderato e reale, target, componenti, formulazioni.
In sintesi, richiedono una comprensione totale delle informazioni operative, unita alla capacità di attuare strategie decise dall’alto e di proporne continuamente dal basso.
La mia idea iniziale del marketing come caleidoscopio si è rivelata riduttiva: un manager deve saper guardare al telescopio e al microscopio, da lontano e da vicino, salire sull’astronave e restare a terra a dare istruzioni.
Deve essere un esecutore e un creativo, un poeta e un cinico, credere in ciò che fa ed essere disposto a lavorare senza sosta, avere idee proprie e saper eseguire quelle altrui.
Il marketing, come lo vedo io, è un equilibrio tra ordine e caos, tra cronos e kairos, tra eros e thanatos.
È gestire più progetti contemporaneamente, affrontare lo stress con calma, essere tenaci e saper lasciare andare. È passare ore a scegliere le parole giuste per una singola riga, lavorare in squadra, parlare più lingue, creare idee e trasformarle in realtà .
Per me, il marketing è stata una passione che ha dato i suoi frutti: tre multinazionali, due anni negli Stati Uniti per estendere ad altri Paesi ciò che avevo ideato e realizzato in Italia, e la nomina a dirigente a trentatré anni. Ma da quella posizione prestigiosa è arrivata una domanda: E adesso?
Cosa volevo ancora raggiungere? Come stava procedendo il mio viaggio? Cosa portavo nel mio bagaglio?
Soprattutto la vita privata era carente di risultati e contenuti mentre quella professionale diventava sempre più complessa ed in terra straniera.
Così, decisi di applicare a me stessa gli stessi criteri che utilizzavo nel lavoro: un’analisi cruda dell’ambiente e di me in esso.
Tutto è iniziato con il marketing, un mondo spesso confuso, frainteso, millantato e, di conseguenza, screditato da chi si appropria di un titolo su un biglietto da visita pur occupandosi d’altro.
Poi è arrivato il counseling, che condivide gli stessi aggettivi: confuso, frainteso, millantato e screditato. Eppure, per me, questi due mondi sono strettamente connessi, l’uno è la continuazione, seppur audace, dell’altro.
Il marketing l’ho scelto all’università , attirata dall’idea di un lavoro dinamico, ogni giorno diverso, come un caleidoscopio in continua evoluzione.
Decisa a sperimentare sul campo, mi sono presentata in aziende grandi e piccole per la mia tesi. Con mia sorpresa, mi si sono aperte porte importanti e, poco dopo la laurea, mi sono ritrovata a lavorare in un contesto multinazionale.
Ho scoperto che ciò che avevo studiato sui libri era solo una base: il vero marketing si imparava sul campo, tra variabili impreviste, terminologie nuove e dinamiche complesse. Mi è sempre piaciuto condividere ciò che apprendevo, soprattutto quando la formazione accademica si rivelava insufficiente e il marketing assumeva nuovi connotati al cambiare del contesto.
Cosa cercano le aziende da un professionista del marketing?
La conoscenza approfondita del prodotto: vendite giornaliere, margini contributivi, budget pubblicitari, agenti di vendita, posizionamento desiderato e reale, target, componenti, formulazioni.
In sintesi, richiedono una comprensione totale delle informazioni operative, unita alla capacità di attuare strategie decise dall’alto e di proporne continuamente dal basso.
La mia idea iniziale del marketing come caleidoscopio si è rivelata riduttiva: un manager deve saper guardare al telescopio e al microscopio, da lontano e da vicino, salire sull’astronave e restare a terra a dare istruzioni.
Deve essere un esecutore e un creativo, un poeta e un cinico, credere in ciò che fa ed essere disposto a lavorare senza sosta, avere idee proprie e saper eseguire quelle altrui.
Il marketing, come lo vedo io, è un equilibrio tra ordine e caos, tra cronos e kairos, tra eros e thanatos.
È gestire più progetti contemporaneamente, affrontare lo stress con calma, essere tenaci e saper lasciare andare. È passare ore a scegliere le parole giuste per una singola riga, lavorare in squadra, parlare più lingue, creare idee e trasformarle in realtà .
Per me, il marketing è stata una passione che ha dato i suoi frutti: tre multinazionali, due anni negli Stati Uniti per estendere ad altri Paesi ciò che avevo ideato e realizzato in Italia, e la nomina a dirigente a trentatré anni. Ma da quella posizione prestigiosa è arrivata una domanda: E adesso?
Cosa volevo ancora raggiungere? Come stava procedendo il mio viaggio? Cosa portavo nel mio bagaglio?
Soprattutto la vita privata era carente di risultati e contenuti mentre quella professionale diventava sempre più complessa ed in terra straniera.
Così, decisi di applicare a me stessa gli stessi criteri che utilizzavo nel lavoro: un’analisi cruda dell’ambiente e di me in esso.
Iniziai allora ad applicare i criteri che sapevo padroneggiare nel lavoro, il marketing aziendale, a me stessa.
Partii da un’analisi, cruda, dell’ambiente e di me in esso.
Sapevo già quali obiettivi desideravo, notai comunque che a periodi alterni, smettevo di occuparmene, richiamata da altri traguardi, più immediati, che mi distoglievano il pensiero e le energie dai precedenti, come se dentro di me avessi rinunciato a crederli possibili.
Mi resi conto con un fastidio misto a dolore che il mio grado di coinvolgimento, d’energie, tempo e lotta era superiore quando l’obiettivo era di altri, dell’azienda.
Con me stessa rinunciavo, per mancanza di tempo.
Anche l’attesa negli aeroporti, la pausa caffé, il percorso casa - lavoro, tutto era dedicato, per l’appunto, ai “compiti”.
Poi mi sono creata lo spazio per pensare a me.
Sentivo che se non l’avessi fatto, la mia vita personale avrebbe assunto una forma qualsiasi, casuale, quella lasciata libera dal tempo e dallo spazio del lavoro.
Era ora di impiegare per me stessa gli strumenti che utilizzavo ogni giorno per altri.
Ho compiuto nuove scelte e rinunce, integrato le conoscenze “consolidate” con un percorso dedicato alla crescita personale.
In particolare con i Master di counseling e di programmazione neurolinguistica ho convalidato e al tempo stesso approfondito le esperienze, armonizzando gli strumenti di comunicazione aziendale con quelli di comunicazione relazionale, interpersonale ed intrapsichica.
E’ infatti la comunicazione il fondamento del successo.
Tu ti ascolti?